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Trivago assume in Germania anche senza conoscenza della lingua

trivago assume in germania
Se siete alla ricerca di un lavoro all’estero forse questa è l’occasione giusta, la sede di lavoro è la Germania e l’azienda cerca giovani e professionisti da inserire nel proprio organico.

L’azienda è Trivago, il più grande motore di ricerca di hotel al mondo. Lo scopo di Trivago è offrire ai viaggiatori la possibilità di prenotare ed alloggiare negli hotel più convenienti, infatti il motore di ricerca confronta i prezzi di 726.278 hotel da 206 siti di prenotazione ogni giorno. Non per niente è diventato il punto di riferimento internazionale per chiunque intenda iniziare un viaggio.

Trivago offre la possibilità di poter lavorare con le ultime tecnologie e con persone provenienti da oltre 60 paesi in tutto il mondo. Offre la possibilità di uno sviluppo personale attraverso il lavoro autonomo in un ambiente che incoraggia le nuove idee, dove il personale può divertirsi e mettere in discussione il proprio status quo.

Ad oggi sono molto ricercate le figure da inserire nel reparto dell’online marketing, cioè tutto quello che offre la rete per pubblicizzare, indicizzare e migliorare la propria presenza nel grande mercato on-line.

Sempre per l’area on-line si cercano persone in grado di gestire il prodotto sul web, attraverso applicazioni, servizi, siti e i loro contenuti, quindi i web designer fanno parte di quel gruppo di persone ricercate.

Il lavoro in Trivago si suddivide in 4 categorie, che si differenziano dal tipo di inquadramento:

• entry-level;
• experienced;
• internship;
• student job/part-time;


Per l’entry level è richiesto almeno un anno di esperienza pregressa, è un contratto professionale di solito a tempo determinato di un anno ma che può diventare indeterminato.

Per l’experienced sono richiesti tre anni di esperienza pregressa o il raggiungimento di obietti durante la carriera, di solito dirige un team di lavoro ed è un contratto a tempo determinato della durata di un anno o indeterminato. Di solito c’è un periodo di prova di sei mesi.

L’internship è un contratto di lavoro full time per i neolaureati o laureandi di solito della durata di sei mesi.

Lo student job è un ruolo che non richiede esperienza, è a part time e solitamente è a tempo limitato della durata da 6 a 12 mesi.

TRivago inoltre offre assistenza per il trasferimento e per lo svolgere delle operazioni burocratiche necessarie quando ci si immette in un nuovo stato. Ci sono a disposizione alloggi aziendali con prezzi convenzionati che un dipendente può utilizzare per un periodo limitato nel frattempo che cerca una sistemazione adeguata.

I candidati devono possedere un’ottima conoscenza dell’azienda e del mercato, aver voglia di imparare ed avere un atteggiamento positivo, non è necessario sapere il tedesco anche se è consigliato, necessita però una buona conoscenza della lingua inglese.I candidati devono inviare il proprio curriculum vitae on-line attraverso il portale di Trivago, in ogni caso ci sarà una risposta. Se positiva il colloquio potrebbe avvenire via telefono, Skype o di persona.
Per candidarsi Clicca qui
Fonte Worky.biz

Salario minimo in Germania 8,50 euro ora dal primo gennaio 2015

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Il salario minimo è legge. Per la Germania un traguardo storico, per il resto d’Europa, che beneficerebbe enormemente di una domanda interna tedesca meno anemica, una buona notizia.

La battaglia è durata fino all’ultimo minuto, tra le imprese e le lobby che hanno tentato di allargarne le maglie e i sindacati che hanno cercato di garantire al contrario l’aumento a tutti – o quasi - a 8,50 euro l’ora. Ma alla fine la riforma è stata approvata oggi dal Bundestag a stragrande maggioranza - addirittura con soli cinque voti contrari - sia dai partiti di governo Cdu/Csu e Spd, sia dai Verdi; solo la Linke si è astenuta.
Dal primo gennaio del 2015 la Germania sarà il 21esimo Paese in Europa ad avere un minimo obbligatorio per la busta paga. La ministra del Lavoro, Andrea Nahles, ha parlato di una “pietra miliare” delle politiche sociali tedesche, di un provvedimento che garantirà “finalmente uno stipendio decente” a milioni di lavoratori. “Per dieci anni - ha detto - abbiamo discusso, per 10 anni abbiamo litigato sui pro e i contro, per 10 anni ha dominato il dibattito politico; ora che è arrivato, il salario minimo è motivo di gioia”.

Alla vigilia del via libera il “Mindestlohn” non ha spaccato solo le rappresentanze degli interessi, ha anche creato tensioni nella Grande coalizione. Il parlamentare della Cdu Peter Ramsauer, minacciando il proprio voto contrario e quello di altri colleghi di partito, ha sostenuto nei giorni scorsi che «il provvedimento va nella direzione sbagliata», mentre il capogruppo della Spd Thomas Oppermann l’ha difesa come una «riforma storica» che «significherà un grande passo verso una maggiore equità sociale». Anche la ministra Nahles ha ricordato spesso che ben 3,7 milioni di persone godranno del beneficio di una busta paga con un minimo garantito. Secondo indiscrezioni rilanciate dalla Bild, costerà quasi dieci miliardi di euro ai datori di lavoro.
Durante la scorsa settimana, proprio per venire incontro a quello che l’economista Klaus F. Zimmermann, direttore dell’autorevole istituto di studi sul lavoro Iza, definisce con una punta di preoccupazione «un esperimento storico, senza precedenti», il governo ha inserito alcune eccezioni nella legge. Il salario minimo già non veniva applicato ai disoccupati di lunga durata, a chi ha meno di 18 anni e agli apprendisti; adesso le eccezioni valgono anche per i lavoratori stagionali, per chi distribuisce giornali, per chi fa un tirocinio obbligatorio (quelli che lo fanno volontariamente dovranno aspettare tre mesi prima di accedervi).
Tuttavia i sindacati sono sul piede di guerra: l’associazione più potente, la Dgb parla di «errori gravi», il sindacato dei lavoratori dei servizi Ver.Di punta il dito contro le «scappatoie» dell’ultimo minuto. E lunedì la numero uno della Spd, Yasmin Fahimi ha respinto le critiche: «è un vero risultato» ha commentato a proposito di quello che è sempre stato considerato uno dei punti qualificanti del contratto di coalizione con Merkel per i socialdemocratici. Anzi, indirettamente ha accusato i sindacati di sconfessare accordi presi anche con loro: «insieme abbiamo concordato che serve una fase transitoria fino alla fine del 2016».
Per Zimmermann i dubbi riguardano anzitutto la cifra: gli 8,50 euro sono «una cifra alta, decisa a tavolino senza criteri scientifici: inventata, si può dire». Il secondo nodo, tradotto anche dalle associazioni imprenditoriali in una minaccia, riguarda gli effetti sull’occupazione. Secondo Zimmermann il salario minimo potrebbe portare alla perdita di molti posti di lavoro in Germania, «nelle stime più pessimistiche anche un milione, nei prossimi anni». Un altro rischio, spiega, è che si impenni l’immigrazione dall’est europeo, in particolare dalla Bulgaria e dalla Romania «dove il salario minimo è da un euro all’ora». Date anche un occhiata a questa infografia di altre nazioni europee e guardate i salari Infografia salari europei

Perche' cacciare la Germania dal Eurozona secondo il Prof.Chovanec

economia tedesca in europa
Su Foreign Policy il prof.  P. Chovanec, della Columbia University,  ribadisce che il problema dell’eurozona sono gli squilibri tra i paesi, non i debiti pubblici. In questo senso, la Germania è il paese più sbilanciato di tutti, e una sua uscita dall’euro sarebbe la soluzione migliore, come già da tempo ha chiarito il Manifesto di Solidarietà Europea.
Lo scorso anno, la Germania ha registrato un surplus commerciale record di 217 miliardi di euro, seconda solo alla Cina nel dominio globale delle esportazioni. Per alcuni, questo fa della Germania un faro luminoso in un’economia dell’eurozona altrimenti anemica — un “fattore di crescita,” come la definisce il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble. In realtà, le croniche eccedenze commerciali tedesche sono al cuore dei problemi dell’Europa; anziché stimolare l’economia globale, la stanno trascinando a fondo. Il modo migliore per porre fine a questa situazione perversa è che la Germania lasci l’eurozona.
Di solito i tedeschi rispondono a tali accuse con una sorta di disorientamento risentito. Abbiamo eccedenze commerciali, spiegano pazientemente, semplicemente perché siamo molto più competitivi rispetto alla maggior parte dei nostri partner commerciali. Potete incolparci, chiedono, se il mondo preferisce acquistare le superiori merci tedesche (e non hanno nulla di desiderabile da darci in cambio)? Quindi il ragionamento è questo: il resto del mondo deve solo migliorare, fare i compiti a casa e diventare un po’ più simile alla Germania. Nel frattempo, non ci dovete odiare perché siamo bravi e belli…
Contrariamente a quanto sostiene la mitologia popolare, tuttavia, non c’è assolutamente alcuna ragione per cui l’essere “competitivi” costringa ad avere un avanzo commerciale.
Già nel 1817, l’economista David Ricardo spiegò che il miglior presupposto per il commercio è avere un vantaggio comparato, non assoluto. In altre parole, anche se un paese è più bravo a fare tutto, dovrebbe esportare ciò che sa fare meglio e importare quello in cui è meno competitivo. Avere un vantaggio generalizzato non implica che sia economicamente sensato produrre tutto in casa propria, e men che meno vendere più di quello che si desidera avere in cambio. O, per dirla in modo un po’ diverso, non esiste una ragione intrinseca per cui guadagnare di più non possa significare spendere di più, consumando beni pubblici e privati, nonché investire di più in  capacità produttiva futura.
Le eccedenze commerciali si hanno quando un paese sceglie di spendere meno di quanto produce — quando ha un eccesso di risparmio, che va oltre la sua necessità  di credito interno. L’eccesso di risparmio viene prestato all’estero, finanziando così la possibilità di un altro paese di spendere più di quanto produce e, con un deficit commerciale, acquistare la produzione eccedente del suo finanziatore. È vero che un paese altamente produttivo potrebbe avere le risorse per produrre un eccesso di risparmio, mentre un paese meno produttivo potrebbe essere incline a prendere in prestito anziché trovare i risparmi di cui ha bisogno. Ma fondamentalmente, gli squilibri commerciali nascono non da un vantaggio competitivo, ma da delle scelte su quanto risparmiare e su dove distribuire il risparmio — in patria o all’estero.
In alcune circostanze può avere senso riportare degli squilibri commerciali? Certo che sì. Nel XIX secolo, la rivoluzione industriale della Gran Bretagna le ha consentito di ottenere grandi profitti dall’aumento della produzione, parte dei quali sono stati investiti negli Stati Uniti. Questo denaro prestato all’economia americana in rapida crescita ha generato rendimenti superiori a quelli che avrebbe prodotto in patria, creando al contempo un mercato di sbocco per le merci britanniche. I potenziali guadagni di produttività hanno creato una situazione “win-win”: aveva senso per gli americani prendere in prestito e per i britannici concedere prestiti. Ma questo caso evidenzia anche una cosa che è facile dimenticare: avere un avanzo commerciale significa finanziare il deficit commerciale di qualcun altro.
La crisi dell’Eurozona è spesso definita una crisi di debito. Ma, in realtà, l’Europa nel suo complesso non ha avuto un problema di debito estero, ma un problema di debito interno: le eccedenze commerciali tedesche e il crescente debito nella periferia europea erano le due facce della stessa medaglia.
I tedeschi hanno risparmiato (molto), e la moneta unica li ha indotti — anziché a risparmiare di meno o a investire questi soldi in patria — a prestarli ai loro partner commerciali dell’eurozona, che li hanno usati per acquistare merci tedesche. Nel 2007, il surplus commerciale tedesco aveva raggiunto i 195 miliardi di euro, tre quinti del quale proveniva dall’eurozona. Berlino può anche chiamarla “parsimonia”, ma non si può dire che l’eccesso di risparmio della Germania, che spesso le sue banche avevano difficoltà a mettere a frutto, sia stato investito bene. Al contrario, esso ha dato ai tedeschi l’illusione della prosperità, scambiando lavoro reale (che si riflette nel PIL) con cambiali di carta che potrebbero non essere mai ripagate.
Qualcosa doveva cambiare, ma cosa? Normalmente, ogni paese avrebbe perseguito la propria politica monetaria, contando sugli aggiustamenti del cambio per spostare la localizzazione della domanda, da quei paesi che non possono permettersela a quelli che invece potrebbero. Con una moneta unica, però, questo aggiustamento non si è potuto verificare. Allora, i debitori europei sono stati costretti a ridurre drasticamente la domanda, attraverso una combinazione di austerità fiscale e rientro dal debito. I loro disavanzi commerciali con la Germania sono calati sensibilmente — ma a causa di minori importazioni, non di maggiori esportazioni. Tutti i cosiddetti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) hanno visto crollare il loro commercio complessivo con la Germania — nel caso di Grecia e Irlanda, di più di un terzo. Così, il riequilibrio avvenuto in Europa, è avvenuto a scapito della crescita.
L’Eurozona è finita in trappola. I paesi europei avevano bisogno di muoversi in direzioni diverse, ma sotto una moneta unica si sono trovati costretti allo stesso passo. In Europa “vivere nei limiti dei propri mezzi” ha voluto dire una Germania che ha continuato a risparmiare più di quanto consumava, anziché sostenere la tanto necessaria domanda di beni. L’allentamento monetario — e un euro più debole — si limitano semplicemente a deviare gli squilibri interni dell’Europa verso l’esterno. Il surplus commerciale della Germania con gli Stati Uniti è esploso (aumentando del 49% tra il 2007 e il 2013) e i deficit nei confronti di Cina e Giappone sono collassati (riducendosi del 71% e del 78% rispettivamente). Nel frattempo, la bilancia commerciale della Germania con il Brasile e la Corea del Sud si è capovolta, da deficit a surplus.
A partire dal 2012, praticamente tutta la crescita del PIL dell’eurozona, su base annua, è arrivata dalle esportazioni nette — ulteriore conferma della debolezza della domanda interna europea come motore di crescita. È discutibile, tuttavia, se affidarsi all’accumulo di ulteriore debito da parte degli americani — e rischiare che essi vadano nella direzione della Grecia — sia in realtà una strategia affidabile. In linea di principio, ha più senso ridurre il deficit commerciale dell’Europa con la Cina. Ma in pratica, questo ha voluto dire non tanto intercettare il mercato cinese di consumo di massa quanto vendere macchinari e beni di lusso nel boom cinese degli investimenti alimentati dal credito, che in se stesso è rivolto al mantenimento dell’enorme avanzo commerciale verso gli Stati Uniti. La questione non è — come spesso viene presentata — cosa sia giusto – ma cosa sia sostenibile. E una situazione in cui gli americani interpretano il ruolo di “consumatori di ultima istanza” del mondo, continuando a prendere soldi in prestito e vivendo al di sopra dei propri mezzi, non è sostenibile.
Quindi che cosa si dovrebbe fare? La soluzione migliore – e la meno probabile — è che la Germania esca dall’euro e permetta al nuovo marco tedesco di rivalutarsi. In questo, l’esperienza degli Accordi di Plaza del 1985 dà qualche speranza. Mentre uno yen più forte ha raschiato appema la superficie del surplus commerciale strutturale del Giappone, il comportamento tedesco si è rivelato molto più sensibile agli incentivi derivanti da un marco più forte.
L’anno scorso, i politici tedeschi si sono dimostrati molto più disposti a provare ad aumentare la domanda innalzando il salario minimo, tagliando l’età pensionabile e aumentando le pensioni — mosse che potrebbero funzionare, ma rischiano di danneggiare la produttività, che in definitiva è all’origine della capacità di consumo della Germania . Perversamente, quegli stessi politici si rifiutano di tagliare le tasse o aumentare la spesa pubblica, cosa che nel 2014 ha portato la Germania a conseguire il suo primo bilancio federale in pareggio dal 1969, un anno prima del previsto. Per la maggior parte dei tedeschi, qualsiasi riferimento al fatto che questa disciplina fiscale dovrebbe essere allentata puzza di sregolatezza in stile greco, ma c’è un altro modo di vedere la questione. L’eccesso di risparmio è già lì; l’unica domanda è “dove” prestarlo. Un indebitamento sul mercato interno per guidare una vera ripresa europea potrebbe essere preferibile a buttarlo (ancora una volta) all’estero, in modo che gli altri comprino cose che in realtà non possono permettersi.
Con una popolazione che invecchia, forse è comprensibile che i tedeschi vogliano risparmiare. Ma non c’è alcuna ragione intrinseca per dirigere quel risparmio all’estero quando c’è una urgente necessità di distribuirlo in casa. La «crescita» guidata dalla Germania finanziando squilibri commerciali insostenibili — all’interno e all’esterno dell’eurozona — è un’illusione. È una crescita presa in prestito, solo per un po’. Per la Germania, e per il mondo, è un cattivo affare.